Abbiamo un'anima in corpo come calce sparsa a ricoprire file e file di cadaveri. Di terrori non spiegati, amori che imperversano tra le nostre vene ritagliandosi uno spazio di carne e coloranti acidi. La nostra capitale giace ai nostri piedi, frastorna con il suo fragore chi si trovi refrattario al dolore. Ne celebriamo le strade malconce le carcasse di mostri dell'era del futurismo gli assopiti e i risvegliati i comuni mortali deificati gli errori marchiani e gli orgasmi latrati al vento i prodotti di aborti invasivi impilati in marcescenti casse dalle modanature d'ottone lo zinco freddo il cielo cuprico le ore del giorno in cui si medita il suicidio. Dalla finestra scorgiamo venature di persone che attraversano strade senza macchine, che dirigono sguardi allibiti ai nostri volti mentre sogniamo di gettare olio bollente. Noi abbiamo il tempo di incarnare idoli di paradisi occidentali e distruggere ogni icona che ne tragga profitto. Dall'alto delle nostre pupille isocoriche isocicliche attraversano nubi dai contorni sfumati.
-G, trai ora le conclusioni che le tue orecchie vorrebbero udire, non ne avrai il tempo quando il buco bianco brucerà le nostre palpebre e le nostre labbra tramuteranno in carne secca a scoprire denti digrignati nello sforzo di reggere l'irrealtà.
-Io sono divinità, io sono patimento e forza d'animo. Non mi riconoscerete e verrò a voi in molteplici forme, teriantropici incubi senza volti o nomi.
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