martedì 29 novembre 2011

aghi (cap6 pars2)

Ai limiti del tuo personale orgoglio si macchia l'inutile scatola in cui nascondi i tuoi ricordi migliori. Perché è ridicolo confezionare poesie in versi e struggersi per chi muore. Io non riconosco l'ossigeno che respiro, continuerò a discutere e confutare e dubitare della vostra esistenza, perché si dubita si confuta e si discute ciò che si teme di affrontare a viso aperto. Noi non releghiamo i nostri pensieri alle parole, non non cediamo le immagini che vorticano nel limbo dei nostri pregressi impulsi nervosi per uno sguardo distorto di scherno. Noi infliggiamo torture al caso, noi non cerchiamo spiegazioni all'avvento. Le nostre dissoluzioni insinuano il sospetto, l'irrealtà e irregolarità dello spazio conscio, la consapevolezza del burrattino di fronte al pubblico svogliato, noi spargiamo benzina con sguardi anedonici governiamo la legge della maschera migliore noi cancelliamo ogni pensiero razionale noi perdiamo coscienze collettive trasformandole in insulti e verità.
La realtà è inapparente
la rabbia è il soggetto
la morte il teatro
la cenere il pathos
il fuoco la nuova vita contro cui insorgere
la maschera il timore
l'esanime l'attore

sabato 5 novembre 2011

Aghi (cap6 pars1)


vogliamo il grande male
che sfianchi il corpo
pieghi la mente
vogliamo il grande male
che ci spenga
la cura sia
l'idea di non sopravvivere
 



G perde il senno. Fora nei lobi delle bambole, si dondola autisticamente. E' la forma che le ho deciso, china il capo e non versa lacrime. Ha un vestito nero, le dita sporche di china e le unghie nere di carboncino. G ha ogni genere,  si sfrega i polsi con vernice rossa e disegna il corso delle vene con pennarello indelebile. Mi guarda sorridendo mentre gioca con i suoi aghi. Ce ne sono attorno alle sue gambe, alcuni sono piccole spille da balia, altri ferri da lana e cuoio, alcuni hanno la punta annerita. N cerca fili da burattino sopra la sua testa, mentre io accarezzo i miei.  E' seduto a gambe incrociate e disegna meccanicamente forme geometriche concentriche con le dita nella polvere. Io intreccio omini di alluminio, nascondo la testa in un cappuccio. Mi rannicchio. Ognuno di noi ha un essenza, che pulsa in un rivolo lungo le dita dei piedi, si raccoglie nella stanza macchiando un centrotavola ricamato. G mi ha fatto una collana con gli occhi delle bambole, troppo chiari per essere reali e puntare qualsiasi soggetto. Sostituisco i fori con ghiandole di alluminio. Affinchè possano capire meglio.