-Voglio distillare Dio. La fede è instabile alle nostre temperature corporee, ma se riuscissimo a ingurgitare tutto prima che riscaldi troppo potremmo finalmente sentire.
-Non voglio sentire. Non voglio un dio a dimorare nelle mie ossa, se non riuscissi più a liberarmene come potrei pensare alla sua malevolenza, senza scatenare immani sofferenze?
-Non voglio ascoltarti. Ti do la vera scelta, il vero libero arbitrio, vedere con gli occhi di chi muore infine, vedere con occhi che tentennano e si ostinano alla luce senza ardere. Come rifiuti il mio splendore?
-Temo di sapere. Sapere non ci ha aiutato. Ci siamo spinti in là, scavando sempre più a fondo. La terra si apre agevolmente sotto le nostre unghie, che sanguinano nello sforzo, ma si richiude come un ghibli nascondendoci sempre più agli sguardi degli esploratori inesperti. Siamo sempre più rovine del mondo sommerse. E se infine dovessimo trovarci persi? Non è forse quello che il mondo chiama pazzia l'incapacità di comunicare?
-Impareremo nuove lingue per noi, nuove forme di grammatica, di poesia. Nuovi tratti si affronteranno sui nostri fogli, nuovi substrati nuovi colori. Avremo mille icone dorate dei nostri santi, nuovi strumenti e nuovi scalpelli.
-E nuove isole, nuovi rami più alti da cui saltando atterreremo più duramente sul terreno. Ne moriremo.
N spinge i suoi rami nel fango
le sue radici graffiano i nostri soffitti
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